Identità e creatività in psicoterapia della Gestalt e teatro

da Antonio Ferrara
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gestalt e teatro

 

“L’attore diventa il personaggio, come “persona” che mette se stessa nel ruolo che rappresenta”.

 

Antonio Ferrara – Il teatro è stato uno dei fattori ispiratori della psicoterapia della Gestalt.

Fritz Perls seguì per molti anni i corsi di Max Reinhardt, il regista che rivoluzionò la cultura teatrale agli inizi del secolo scorso, e, come terapeuta, fu certamente influenzato dalla sua visione innovatrice. Reinhardt, allontanandosi dal modello naturalista, mise in rilievo le caratteristiche personali dell’attore piuttosto che seguire gli schemi standardizzati sul come si dovessero rappresentare Amleto, Caterina o mister Higgins.

Propose che l’attore, piuttosto che recitare secondo schemi precostituiti, diventasse lui stesso il personaggio, come “persona” che mette se stessa nel ruolo, con la sua gestualità, il suo sentire e la sua visione del mondo. Quella Ofelia o quel Don Giovanni che ne vengono fuori già vivono nell’attrice o nell’attore che li rappresentano, ne sono naturalmente parte. Tecnica e umanità vanno insieme.

È come identificarsi nelle immagini di un sogno. Diventare l’albero, il viandante, o il ruscello, porta la persona che ha sognato ad essere pienamente quell’aspetto di sé che sta rappresentando e da questo tipo di esperienza si sviluppano consapevolezze ed effettive comprensioni sul come si è, al di là di interpretazioni o inganni mentali.

Fu dunque la visione di Reinhardt a stimolare il modello espressivo di Perls? La sua Gestalt? La drammatizzazione fu certamente uno strumento importante per lui. Gli permise di esplorare, con attenzione focalizzata e favorendo la libera espressione, anche mettendo in atto una recita, il Copione di vita: le linee guida della mappa esistenziale che si manifestano attraverso un’esperienza creativa.

Ciò che la persona vive, per quanto alterato o inventato sia, comunque parla di sé. Facendo teatro è possibile scoprire le regole che tengono in piedi gli schemi copionali, che in teatro, come nella vita, tendono a ripetersi, in modo meccanico e inconsapevole, come insegna Eric Berne.

Ma quando questa mappa attraverso la rappresentazione, trapela e viene alla luce divenendo azione drammatica, produce consapevolezze che si attivano per effetto della trasparenza che mostra l’attore, e per l’eco che ritorna quando il mondo interno si rivela e si incontra con altro e con altri, che fanno da specchio, in maniera espressa o sottile.

Allora il Copione subisce delle scosse e pur resistendo nella sua struttura, si attenua nelle forme in cui si manifesta.

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