Psicologia e comunicazione

da Antonio Ferrara
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comunicazione psicologia bisogno

“Per soddisfare i bisogni, l’essere umano necessita del riconoscimento delle proprie emozioni e dei propri sentimenti.”

 

Io ritengo che tutti i problemi connessi alla relazione insegnante-allievo, e inerenti quindi all’insegnamento, possono essere affrontati partendo da considerazioni più generali che riguardano le maniere stesse di essere dell’uomo nel mondo, le sue relazioni con l’ambiente e quindi con quello che definiscono lo sviluppo dell’individuo; in questa ottica l’apprendimento o l’insegnamento non sono che due aspetti di un modo più ampio di essere nel mondo. In pratica, insegnante è un uomo e una donna che esprime il suo lavoro come aspetto particolare della sua personalità. Altrettanto vale per l’allievo, il quale intanto si pone secondo certe modalità e non altre, in quanto la sua esistenza, il suo essere nel mondo è di un certo tipo. Ecco perché, a mio parere, può essere utile inquadrare questa problematica in una visione più generale, usando i parametri fornitici dalla GESTALT – A.T.

Incominciamo a distinguere tra gli individui, quelli sani, come coloro che sono in grado di esistere usando a pieno e consapevolmente il proprio potenziale, ed i nevrotici, quelli che vivono usando in maniera ridotta le loro reali capacità.

Passiamo quindi ad esaminare alcuni aspetti dello sviluppo dell’organismo inteso come complesso psico-fisico e della interruzione nevrotica di questo sviluppo.

Venendo al mondo l’uomo, come qualsiasi essere vivente, ha due scopi fondamentali: sopravvivere ed evolversi. Questi possono essere considerati i bisogni fondamentali da cui tutti gli altri derivano, e sono le due premesse primarie che deve ricevere il bambino: mancando queste premesse si ha una ingiunzione a non esistere. I bisogni derivati da questi due primari possono essere di ordine fisico o psicologico. Quelli più strettamente fisici sono legati alla sopravvivenza e quelli cosiddetti psicologici sono più legati all’evoluzione. Questa concezione però è fittizia, in quanto la GESTALT prevede che l’organismo sia una unità psicofisica e non una dualità fatta di fisico e psichico. Questa è quella che Perls chiama la «concezione olistica»; secondo la quale il fisico è una manifestazione più grossolana, che prevede maggior impegno di energia rispetto al pensiero e quindi al mondo mentale, ove il livello di energia è più basso. Fantasticare di lottare costa meno energia che lottare veramente.

L’individuo, nel momento in cui compare nel mondo, completamente nudo è pieno di energie vitali, programmato per la sua crescita e bisognoso di tante cose. Senza l’ambiente circostante non può sopravvivere. Inizialmente, il mondo che Io circonda è percepito come ristretto alla madre e poi ad entrambi i genitori, che penseranno a soddisfare i suoi bisogni primari; poi, col tempo, acquisterà sempre più autonomia e comincerà a prendere da sé quello che gli serve. L’uomo, portatore di bisogni, ha l’ambiente per soddisfarli; vive in equilibrio omeostatico, cioè l’organismo soddisfa le sue carenze, prendendo fuori da sé ciò che gli manca. L’omeostasi è un processo costante, perché l’uomo ha sempre bisogni da soddisfare. E’ una catena successiva ed inesauribile; una sorta di serbatoio che l’individuo porta in sé, dal quale i bisogni vengono fuori uno alla volta. La capacità di concentrazione è limitata ad una attività per volta e, solo quando un bisogno è soddisfatto, può emergerne un altro dallo sfondo per venire in primo piano.

Quando avviene un’interruzione nel processo, verrà la malattia, che altro non è che il prodotto di un bisogno non soddisfatto che continua a reclamare la sua soddisfazione in maniera indiretta.

Vediamo in particolare questo organismo nel ciclo della soddisfazione del bisogno. Premesso che ha una sua spinta vitale che lo porta allo sviluppo, quella che in psicologia umanistica si chiama “Capacità attualizzante” (Rogers), la saggezza naturale dell’individuo produce i meccanismi per la realizzazione del bisogno, salvo che, come vedremo, l’ambiente non viene ad interrompere tale sviluppo con i problemi conseguenti.

Quando l’omeostasi è a favore dell’ambiente e quindi c’è una carenza nell’organismo, questa viene indicata da una « sensazione ». Per esempio, quando la carenza è l’acqua, la sensazione può essere d’arsura. Le sensazioni possono essere di tanti tipi: ad alcuni, sappiamo dare un nome, ad altre no, sono collegate queste ultime a meccanismi e, quindi, a bisogni che ci sono inconsapevoli. Dopo la sensazione, inizialmente senza significato, l’individuo prende “consapevolezza” del bisogno che ha sete. Quindi, convoglia energia da focalizzare su quella specifica « azione » per prendere dell’acqua. E’ il passo successivo che lo porta a « contattare » l’acqua; finalmente può « completare » bevendo e consumando l’oggetto del bisogno. Alla fine, quando è soddisfatto, l’individuo si « ritira » dall’oggetto. L’energia dell’organismo è così disponibile per un altro bisogno che ora emerge dallo sfondo e viene in primo piano. I bisogni hanno una graduatoria di importanza e prima emergono quelli indispensabili alla sopravvivenza, poi gli altri. Questo è il processo sano, che si svolge secondo questo schema:

Il “luogo” dove possono essere soddisfatti i bisogni è l’ambiente per cercare l’oggetto che gli serve, cioè l’oggetto positivo, “l’azione” per scoprire quello che gli serve e poi prenderlo. Senza queste capacità il bisogno resta insoddisfatto. L’orientamento deriva dal sistema sensoriale, la manipolazione dal sistema motorio. Quando l’individuo sente un bisogno, nasce in lui una “eccitazione” o “impazienza” e comincia ad agire nell’ambiente per cercare l’oggetto positivo. Quando lo scopre, attraverso le sue capacità di orientamento entra in contatto e poi si soddisfa di lui. Ma non esistono solo oggetti positivi, che richiamano attenzione e desiderio, e quindi “contatto”, vi sono anche oggetti “negativi”, per i quali, anziché eccitazione, la persona prova “timore”. Questi sono gli oggetti che la persona ritiene pericolosi per sé o dei quali è già soddisfatta. In questo caso, l’organismo si ritira da quello specifico oggetto. Quindi, possiamo dire che “contatto” e “ritiro” sono le funzioni tipiche con cui l’individuo si relaziona all’ambiente. Entrambe sono necessarie: all’uomo sano avviene che è in grado di stabilire con chiarezza quando “contattare” e quando “ritirarsi”. I problemi sorgono quando la persona è confusa circa i suoi bisogni, non li distingue e perciò non è in grado di esercitare adeguatamente le funzioni del contatto e del ritiro.

A questo punto è utile inserire il concetto di emozione, che dalla GESTALT viene considerata la guida naturale alla soddisfazione del bisogno. L’eccitazione indistinta, la carica vitale, si trasforma di momento in momento e secondo i bisogni dell’organismo in specifiche emozioni, le quali sono come una fonte di energia per le azioni; cioè le emozioni vengono trasformate in azioni. Esempio: se ho una perdita, un lutto, oppure perdo un oggetto importante per me, legata alla perdita nasce dentro di me una sensazione indistinta, che poi diventa consapevole e assume forma di un sentimento che chiamo tristezza; la mia tristezza, se riconosciuta, mi spinge verso un oggetto che possa riempire il mio vuoto, quindi la tristezza mi spinge ad agire, cercandomi, ad esempio un amico che mi consoli, un pezzo di cioccolata, o altro. Quanto detto vale per tutte le emozioni e tutti i sentimenti; se non sono consapevole dei sentimenti, delle emozioni, difficilmente mi orienterò per soddisfare i miei bisogni. Purtroppo, però, sin da piccoli, siamo abituati a non rispettare le emozioni, a nasconderle o trasformarle in sentimenti parassiti, sicché la naturale saggezza dell’organismo non ha modo di esprimersi: si ha così l’innesco del meccanismo che porta alla nevrosi. Il blocco può verificarsi non solo a questo punto, ma a qualsiasi altro livello del processo di sviluppo; dobbiamo considerare, infatti, che nel contatto con l’ambiente l’individuo subisce continue frustrazioni attraverso le quali all’eccitazione originaria non viene permessa di vivere; pertanto,essendo, come abbiamo visto, l’eccitazione legata alla soddisfazione del bisogno, restano, come si dice, delle gestalt aperte, cioè dei bisogni non soddisfatti, delle « interruzioni ». E’ proprio sul confine del contatto individuo-ambiente che si compie il destino del nevrotico. Questo confine ideale è la zona dove la persona impara a soddisfare, a rinunciare, a contattare, a fuggire.

Per Perls ogni buco che resta aperto nella soddisfazione di un bisogno, è una gestalt aperta che continua a reclamare soddisfazione e continuerà ad operare sotterraneamente in maniera inconsapevole. Questo fa dire a Perls che, a differenza di quanto afferma Freud, non è ciò che è stato, ma ciò che non è stato che è ancora attivo.

Quindi è ai buchi che bisogna dare attenzione; finché non saranno chiusi l’individuo resta depauperato di qualcosa che continua a cercare disperatamente, appoggiandosi all’ambiente esterno per colmare la mancanza che é in sé. Il bisogno non soddisfatto continua a vivere sullo sfondo ed è visibile dal sintomo attraverso il quale si manifesta.

 

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