Pubblicato in: IAT Journal – Istituto Analisi Transazionale – Roma (Gennaio 2015) – n. 1
“L’adattamento creativo incontra i processi decisionali che permettono il formarsi di schemi, Copioni, che si manifestano anche in forme caratteriali automatiche e ripetitive, i 27 caratteri dell’Enneagramma”
Gestalt e AT nell’approccio dell’autore, costituiscono un insieme unitario.
Dal “vuoto fertile” all’ “Ordine Strutturato”. L’adattamento creativo incontra i processi decisionali che permettono il formarsi di schemi, Copioni, che si manifestano anche in forme caratteriali automatiche e ripetitive, i 27 caratteri dell’Enneagramma. Sono rilevanti ai fini della terapia e della crescita personale, la conoscenza delle forme dell’amore e la pratica meditativa.
Le premesse
Da tempo mi interessa trovare il senso ulteriore che è dietro l’organizzazione psichica del comportamento umano. Nel mio approccio terapeutico, Gestalt, Analisi Transazionale, Psicologia degli Enneatipi e Tradizioni spirituali costituiscono un insieme unitario. Una scuola che offre un modello sostenuto da una visione dell’uomo particolarmente valida per il nostro tempo, nel quale il malessere nelle sue varie forme è spesso prodotto da una carenza di valori, di riferimenti certi e di senso di sé.
La Gestalt di F. Perls ebbe alla base della sua teoria della personalità il vuoto fertile. L’ispirazione gli venne da quello che considero il suo principale maestro, un filosofo, Friedlaender, più noto come autore di romanzi e frequentatore di centri culturali nella Berlino degli anni venti. Perls fu molto influenzato anche dal teatro di Max Reinhardt, un grande innovatore degli inizi del secolo scorso, che dette una nuova prospettiva all’attore e ai suoi modi di dar vita al personaggio.
L’attore non interpreta più un modello già noto e utilizzato, ma diventa lui stesso il personaggio dando al ruolo le sue proprie caratteristiche. Questa maniera di intendere il teatro certamente ispirò il processo di identificazione che fu centrale nel lavoro di F. Perls e in seguito utilizzato anche nell’AT, in particolare nel lavoro con le tre o più sedie. Le basi teoriche dell’AT di E. Berne ebbero il loro sbocco in un approccio ben strutturato, con dirette influenze psicoanalitiche, come si sa, e con spazio per l’intuizione, alla quale Berne aveva dedicato studi approfonditi. La ritenne importante nel lavoro terapeutico. Non solo teoria, quindi. Restarono invece incompiute le sue riflessioni sull’Adulto integrato, per le quali immaginò un futuro più produttivo e che a me aprono la possibilità di ulteriori sviluppi per il mio modello.
Nell’Adulto integrato, come è noto, convergono tutti e tre gli Stati dell’lo. Lo immagino come un esempio di autorealizzazione, una sorta di illuminato, il Bodhisattva, tipico della tradizione buddhista, che può godere della pienezza dei potenziali umani, con le diverse coloriture che caratterizzano ciascuno degli Stati dell’lo. L’Adulto integrato ha una “maggiore flessibilità e si arricchisce di qualità che appartengono a sfere superiori di coscienza”, sottolineo in un precedente articolo. Da quanto premesso si intravedono le differenze e le complementarietà di AT e Gestalt e si può intendere come la prima ne abbia integrato alcuni principi e tecniche dando vita ad un filone gestaltico.
Caos
Voglio adesso esplorare alcune forme attraverso le quali si organizza e si manifesta la nostra realtà. Una realtà effettivamente sperimentabile e quindi traducibile in una visione che può avere applicazioni concrete, anche in psicoterapia. Ho scelto, per approfondire il tema, il confronto tra i principi di Caos e Ordine. Se guardiamo ai contenuti, le leggi di Caos e Ordine sono concezioni pilastro dell’esistenza del mondo e dell’universo tutto, e affondano le loro radici in tradizioni che oggi sostengono lo sviluppo del pensiero e della scienza moderna.
Mi riferisco in particolare alla neurofenomenologia e alla successiva neuroscienza. Nella Teogonia di Esiodo il Caos viene definito coma la “personificazione del vuoto primordiale, che precede la creazione e il cosmo”. Ai nostri giorni, Michel Cassè, in “All’origine del cosmo”, libro scritto insieme a Edgar Morin, maestro della complessità, ricorda che secondo concezioni moderne l’intero universo apparve a seguito di una deflagrazione termica dalla quale inizialmente si sprigionò pura luce, origine e matrice di ogni cosa. Una visione simile si trova nella filosofia buddhista. Cassè sottolinea che all’origine era il caos e precisa che caos non è disordine, ma l’unione indifferenziata di ordine-disordine e disorganizzazione. All’origine non c’è dualismo, l’uno e l’altro. La parola caos significa apertura, voragine e richiama il vuoto. Quello stesso vuoto a cui fa riferimento nell’ultimo secolo, da Einstein in poi, la ricerca scientifica, che sempre più considera il vuoto come matrice originaria di ogni fenomeno che si manifesta. All’origine non ci fu un ente che generò ogni cosa, ma il vuoto. La scienza si avvicina ad antiche tradizioni e porta l’occidente a condividere la visione del Tao cinese e del Buddismo tibetano. Uno scienziato italiano, M. Corbucci, afferma che non è necessario trovare la particella che acquistando massa dia vita alla materia, e questo perché non c’è particella, questa stessa di fatto è un buco nero da cui viene fuori tutta la materia dell’universo.
Vuoto creativo
Ma, e questo è fondamentale, il vuoto non è un nulla. Su questa esperienza si fondano antiche tradizioni spirituali e scuole per l’autorealizzazione o più semplicemente le pratiche meditative e contemplative. F. Perls con la Gestalt, sposta la sua attenzione verso una matrice creativa, fondamentale per lo sviluppo della moderna psicoterapia. Nell’approccio gestaltico il vuoto è creativo e fertile. L’ispirazione venuta da Friedlaender, derivava da Schopenhauer, suo maestro, che si era interessato alle filosofie orientali e in particolare alla cultura buddhista. Per Esiodo, dal caos, quindi dal vuoto, iniziò il percorso generativo che dette vita a Gea, la terra, a Tartaro, gli inferi, a Eros, la forza che dà vita. E poi al giorno e alla notte e cosi via. Il vuoto prende forma/forme e si producono i fenomeni che permettono la vita umana. Le forze originarie sono qualità così basilari per l’esistenza che assumono un sentore divino, sono divinità. L’origine delle cose è misteriosa e l’uomo la rende sacra. È un processo creativo quello che pervade e caratterizza il perenne divenire da cui deriva la realtà quotidiana, scandita dal tempo e dallo spazio.
E poi viene l’ordine
Per Platone invece il caos è il ricettacolo della materia che è all’origine del mondo. La materia non ha forma e il Demiurgo la plasma trasformando il caos nell’universo ordinato, il cosmo. Il Demiurgo non crea, è un artefice che fa e organizza. A lui preesistono le idee, la materia e il luogo originario di tutte le cose. In Platone vige il dualismo, le idee o le forme sono il modello e il Demiurgo forgia la materia a loro somiglianza. Dà un ordine a quanto preesiste. Nella Gestalt passiamo dal vuoto fertile all’ordine non per effetto di un ente superiore ma per adattamento creativo, un potenziale insito nel vuoto stesso.
Frutto del processo sono le infinite esperienze che si manifestano nel mondo concreto, contattabili dai sensi e dalla mente, ma anche gli atti volontari dai quali provengono strutture sempre più organizzate e processi decisionali che permettono il formarsi di schemi, Copioni di vita, che nel loro ordine, si fissano e diventano automatici e ripetitivi. Alla stessa maniera si formano i caratteri, effetto di scelte che si manifestano con loro specifici comportamenti adattivi. Sono rigidi nelle loro forme, perdono creatività proteggendo l’esistenza, ma, se questo inizialmente fu anche vero, in seguito la rendono limitata e insoddisfacente. Avere un carattere comporta indossare sempre la stessa maschera, lo stesso costume, come nella Commedia dell’arte, una galleria di personaggi nei quali si riflette la vita quotidiana. Nel nostro mondo ci sono sempre una Colombina, vivace e seduttiva, o un Pierrot, vergognoso e timido, oppure un Arlecchino, astuto e ciarlatano, e tanti altri modi di organizzarsi la vita. Se guardiamo al carattere attraverso la Psicologia degli Enneatipi, elaborata da C. Naranjo e ispirata all’Enneagramma, incontriamo nove tipologie di base che si suddividono in 27 sottotipi, ognuno dei quali è organizzato in una articolata mappa di tratti. Ad esempio un tipo iroso è inadattato e perfezionista; un lussurioso, manipola e inganna; un vanitoso, si mostra brillante e compiacente. Ogni carattere ha un suo proprio copione di vita ed è fortemente strutturato, sempre uguale a sé stesso, con gesti ed espressioni, pensieri e comportamenti rigidamente fissati, più da marionetta che da persona che vive nel qui e ora, calata nel fluire dell’esperienza.
Formazione del carattere
L’ordine si poggia su un’attività intenzionale, diretta e finalizzata: la realtà concreta, la quotidianità, il mondo della chiacchiera, direbbe Heidegger. Dal caos, un’indefinita e misteriosa unità originaria, si entra nelle polarità, nelle antitesi, nelle differenze e nei conflitti. Il dualismo viene da una scissione primordiale, sia che derivi da un ente unitario o che discenda da un caos indifferenziato, da un vuoto o da una voragine. È la realtà in cui domina il due, soggetto e oggetto, l’Io-Altro, la condizione che impedisce la sottile interazione che passa nell’intimità dell’Io-Tu, secondo Buber.
Lo stato di separazione è la forma di vita che si vive nella quotidianità. Nell’essere umano il fenomeno che più la richiama è la nascita, la perdita dell’unità con la madre. Nella Psicologia degli Enneatipi mettiamo come struttura base della personalità tre stati emozionali, tre passioni, la Pigrizia, la Paura e la Vanità connessi a tre stati cognitivi, fissazioni, che sono Iperadattamento, Dubbio, Autoinganno. Insieme formano un triangolo intorno al quale si organizzano gli altri sei caratteri costruendo una figura a nove punti: l’Enneagramma. All’origine l’uomo vive una scissione. Perde l’unione con il tutto e perde la conoscenza. Subentra ignoranza e confusione e poi paura. La perdita di contatto con la propria natura originaria toglie certezze e riferimenti, serve una protezione e allo scopo si crea una maschera, un modo di vivere basato sulla vanità. È una falsa immagine di sé che alimenta ancora di più l’ignoranza e la confusione, costringendo ad adattamenti di copertura che continuano ad alimentare paura e quindi spingono ancora di più a nascondersi dietro una maschera, che prenderà più forme, rigide e ripetitive e ciascuna di esse sarà un carattere.
L’integrazione
È proprio ai fatti della vita quotidiana che si rivolge la terapia nella quale, come già visto, dominano polarità e conflitti che portano a tematiche efficacemente trattabili con la tecnica delle due o tre sedie. Uno degli obiettivi di questa modalità di lavoro è quello di facilitare l’integrazione. Piuttosto che eliminare aspetti di sé considerati come causa di malessere e sofferenza, si favorisce la loro riunificazione. Anche ciò che appare distruttivo, magari un sintomo, ha in sé forze creative, mal direzionate ma portatrici di energie che sono comunque parte della persona. Dall’incontro-scontro delle polarità può emergere una terza forma nella quale le parti creano un nuovo insieme.
I processi integrativi sono frutto di una saggezza implicita che ciascun paziente porta in sé ed esprime essendo presente nel qui e ora, congruente con la realtà attuale. È così che funziona un Adulto che integra Genitore e Bambino come parti di sé, non come contaminazioni che lo limiterebbero, ma come forme che lo arricchiscono di ulteriori potenzialità e qualità. L’attenzione al qui e ora rimanda alla pratica del continuo di consapevolezza, una sorta di libera associazione focalizzata e al processo meditativo, un livello sottile che permette ulteriori sviluppi della coscienza dopo decontaminazione e deconfusione. Questo livello praticato con continuità facilita l’uscita dagli schemi copionali e dalle rigidità degli Stati dell’Io e permette di sperimentare in maniera flessibile quello che è congruente con gli stimoli che l’ambiente e il nostro mondo interno rimandano. Questo comporta il vivere con pienezza l’esperienza dei sensi, degli stati emotivi e del pensiero, senza entrare in giudizi o valutazioni limitanti.
Meditazione, neuroscienze e psicoterapia
L’esperienza meditativa permette di riscoprire la pienezza originaria già presente in noi, liberando da schemi e strutture e favorendo uno stato di vuoto, uno stato della coscienza dotato di un’implicita saggezza naturale che viene dalla mente pura o assoluta. Non è una via rapida ma accanto a tutto il repertorio di tecniche e metodologie di cui disponiamo, aiuta a lasciarsi andare, in termini gestaltici all’accettazione, ad aprire allo sconosciuto e all’autoregolazione organismica, nonché alla forza innata della natura umana che guida all’espressione di sé.
Nella pratica, se il paziente viene invitato a dire la prima cosa che gli viene in mente, spesso dà una risposta dal contenuto del tutto nuovo e significativo. È la mente creativa che risponde, lo spazio del caos, del vuoto, dove tutto c’è. Perdere i riferimenti permette di superare i limiti, di trovare nuovi ordini o di godere del vuoto stesso. Da quanto sto dicendo ne deriva che caos e ordine non sono separabili, anche se in una visione dualistica dettata dai nostri sensi, governati da una logica discriminante, si tende a creare categorie e a dare una struttura, non avendo coscienza della “mente ingenua”, come la definisce Francisco Varela, fondatore della neurofenomenologia e della conseguente neuroscienza. Varela sposta l’attenzione dal pensiero orientato al contenuto, “verso il sorgere dei pensieri stessi e a prima che si formino e non per arrestarne il flusso…”, il che sarebbe impossibile, ma per favorire un’esperienza senza filtri, di una mente, di un cervello che, prima di percepire, coglie la realtà attraverso stimoli che riceve come “sensazione”.
È proprio la sensazione che provoca risposte spontanee, prodotte, se guardiamo alla tradizione della Quarta via di Gurdjieff e oggi al lavoro di Claudio Naranjo, dal cervello rettiliano, sede della naturalezza, degli istinti e della spontaneità. È qui che risiede anche l’istinto conservativo che qualifica, così come l’istinto sociale e quello sessuale, i sottotipi del carattere nella Psicologia degli Enneatipi. Sono principi che vengono da antiche tradizioni, sviluppati per capacità intuitiva e di più profondo contatto con la natura originaria dell’uomo, oggi confermati nella loro validità dalla ricerca scientifica, in particolare dalle neuroscienze. Il discorso sulla sensazione, come già scritto in un altro articolo, mi ha indotto a considerare che è di grande importanza la fase del pre-contatto del ciclo gestaltico.
Prima ancora di cadere in uno stato di confusione confluente, frutto di successive esperienze adattive e di paura di vivere un’esistenza piena, si sperimentano livelli più sottili che richiamano il bambino eidetico descritto da Berne. Come frutto delle sue ricerche, V. Gallese ci dice: “Capire è importante, senza pensiero non c’è guida, non c’è appoggio, ma conoscere è altra cosa, implica esperienza diretta, lo sperimentare il recupero della spontaneità, prima che intervengano giudizi e valutazione”, che creano confusione e conflitto. Ancora Gallese guarda ai correlati neuronali di quanto si sperimenta in prima persona e ai conseguenti fenomeni relazionali basati su modelli “pre-esistenti delle interazioni corpo-mondo … forme prelinguistiche di rappresentazione”, che secondo le sue ricerche sono alla base dell’intersoggettività. Al centro dell’indagine mette il sistema sensorio-motorio. È come dire, prima di distrarsi con pensieri e interpretazioni, guardare al corpo e all’esperienza vissuta.
L’attenzione al corpo è fondamentale per ogni forma di terapia. Il primo contatto con il mondo, è ovvio, avviene attraverso il corpo e i sensi, quello che potremmo definire il bambino sensoriale. Il lavoro corporeo può essere particolarmente importante per risvegliare parti profonde di sé. La sensazione è relativa alla soggettività, a chi la sperimenta. Ci dice come il mondo, il fuori, agisce su di noi, che siamo i soggetti senzienti. Poi interviene la percezione che ci parla dell’oggetto.
In conclusione la sensazione informa su come si presenta il mondo ed è una pre-condizione che poi permette di percepirlo in maniera piena. Le sensazioni stimolano l’orientamento, a quali obiettivi rivolgersi e, quando subentra il contatto, si instaura l’intersoggettività. ln pratica sensazione ed oggetti esterni, quello che percepiamo, che siano persone o cose, entrano in relazione e questo è intersoggettività, la base per l’organizzazione di una struttura e quindi di un ordine. In maniera prescientifica e grazie all’intuizione e allo sperimentare, la fase di pre-contatto, come forse la intese F. Perls, è connessa con la mente ingenua, non condizionata dal pensiero. È lo stato in cui il fenomeno resta in primo piano, appare e si esaurisce spontaneamente e se l’esperienza va avanti nel tempo, dà vita ad un continuo di consapevolezza. Una consapevolezza focalizzata, congruente con il qui e ora, simile ad una meditazione che comprende esperienze corporee, emotive e di pensiero. Un processo che si interrompe quando subentrano valutazioni, giudizi, paure adattive, esperienze del passato non assimilate che creano blocchi di energia e non permettono un libero fluire della coscienza. L’interruzione è lo strumento che l’organismo usa per formare strutture. L’esperienza si cristallizza, diventa fissa, interviene un ordine che se non risponde ai principi della naturalezza, crea rigidità caratteriali e copioni di vita dai quali ripartire per scoprire la implicita saggezza naturale. La meditazione oggi è diventata nota soprattutto come tecnica di rilassamento o per pacificare la mente: la mindfulness.
Diversa è la ricerca spirituale che è scopo di antichi insegnamenti trasmessi da maestri che ne sono depositari e che hanno essi stessi raggiunto livelli di conoscenza che permettono consapevolezze profonde relative a quella che viene definita la natura pura della mente. Le vie più conosciute sono quelle dello Hinayana, del Mahayana e del Vajrayana, rispettivamente la via della rinuncia, quella della compassione e la via che integra varie forme e direzioni e ha come simbolo il diamante, simbolo di una mente illuminata, chiara, limpida e vuota.
L’amore
Quando la coscienza si apre ad esperienze più vere, guidate da trasparenza e spontaneità, la relazione con l’altro diventa un incontro lo-Tu che favorisce un’intimità sottile ed ha il sapore dell’amore. Si parla poco di amore in terapia ed è un apprendimento importante per i nostri pazienti. H. Nouwen descrive la sua esperienza di crescita in un libro, nel quale racconta del suo passaggio da una vita come insegnante universitario, scrittore e conferenziere ad una dedicata a persone handicappate mentali. Questa esperienza lo mette in contatto con il suo lato oscuro e sofferente. Da anni era attratto da un quadro di Rembrandt: “Il ritorno del figliol prodigo”, del quale possedeva un poster. Un giorno finalmente si trovò all’Ermitage di San Pietroburgo davanti all’originale. Fu profondamente colpito da quell’opera e chiese un permesso speciale per stare nella sala in cui era esposto. Contemplò per ore e ore il padre che accoglieva il ritorno del figlio perduto.
Quello che trasformò completamente la vita del sacerdote, fu lo scoprire che “il ritorno al padre è in definitiva la sfida a diventare padre”, rappresentato nel quadro con le sue due mani poggiate sulla schiena del figlio: una maschile e l’altra femminile. È “il vero centro del dipinto di Rembrandt”, dice Nouwen, l’amore nella sua forma materna e paterna unito nell’unica figura del padre. Il sacerdote comprese come tutta la sua vita fosse stata dominata dalla razionalità, anche nella sua missione, e soltanto in età avanzata, aveva scoperto quanto importante fosse trasmettere il suo insegnamento con la semplicità di un amore capace di accogliere e “benedire” nel senso di “dire cose buone”.