Gestalt integrata: contatto, conflitto e adattamento complesso

da Antonio Ferrara
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Pubblicato in: Psicoterapia della Gestalt, per una scienza dell’esperienza, a cura di Riccardo Zerbetto – Atti del IV Convegno Internazionale di Gestalt – Siena, luglio 1991

 

“Un principio di conservazione e un principio di espansione: il primo tende alla protezione e alla sopravvivenza, l’altro alla realizzazione, all’evolversi in senso ampio. Dove sei tu oggi, nel cammino della tua vita?”.

 

Sono davvero tante le cose che vorrei comunicare in questi giorni ad un congresso di Gestalt. Quando ho pensato alla relazione da proporre, una folla di argomenti si sono presentati alla mente, ma soprattutto le tappe significative del mio viaggio personale. Le mie esperienze di terapeuta e di uomo, le pene per i fallimenti e gli entusiasmi per il cambiamento dei miei pazienti e i miei personali. Quello che mi sembra veramente fondamentale e che ho imparato dalla Gestalt, è l’attitudine a guardarsi senza inganno e a mettere in primo piano, nel lavoro come nella vita, la domanda così ben espressa da Buber nei Racconti Chassidici “Dove sei tu?”.  Dove sei tu oggi, nel cammino della tua vita.  Niente è uguale nel tempo fu l’insegnamento che il Dio della Bibbia dette ad Adamo e che fece tremare il capo delle guardie, allorché comprese che poco valeva la sua posizione di carceriere, rispetto alla profondità del rabbino assorto in meditazione,  il vecchio saggio suo prigioniero (J. Brown, 1980).

Per me Gestalt è soprattutto questo: un impegno a realizzare il proprio potenziale e a proseguire sulla via della conoscenza. Non dimentico però che sono uno psicoterapeuta e oltre che Gestaltista, Analista Transazionale, addestrato alla clinica, tutti i giorni a confronto con pazienti di ogni tipo che mi propongono vissuti, esperienze e fenomeni patologici i più disparati, per cui ho sentito e sento la necessità di affinare il mio bagaglio di conoscenza clinica, attingendo da più parti quanto mi sembra ci sia di utile e integrabile. Un maestro per me molto importante insegna che la via per la realizzazione attraverso un’esperienza diretta è la più elevata e richiede meno tempo, però se mancano le qualità per perseguirla e meglio utilizzare una via graduale. Così il contatto può avvenire immediatamente attraverso una presa di consapevolezza prodotta da una esperienza di meditazione o attraverso una più articolata e sofferta elaborazione di conflitti che produca integrazione.

L’’incontro di Gestalt e Analisi Transazionale (A.T.) con l’esperienza di insegnamenti spirituali di matrice buddhista e non, mi permettono una visione della terapia che si muove nella duplice direzione di una ricerca spirituale e di una cura clinica. ln altra sede ho assimilato Gestalt e A.T. a due polarità che contraddistinguono la natura stessa dell’uomo: la fame come bisogno di struttura della teoria berniana e la fame come bisogno di libertà. Quest’ultima mi sembra più vicina alla matrice gestaltica. Ho supposto che l’integrazione dei due approcci è avvenuto per reciproca necessità di completarsi e dar luogo ad una terapia che possa muoversi su diverse direzioni, attenta sia al processo che al contenuto, sia a quanto avviene entro i confini dell’lo, sia a quanto si sperimenta oltre i confini, quando l’Ego si disgrega, per effetto di una patologia regressiva o per esperienza profonda di conoscenza e di contatto con sé.

 

Principio di sopravvivenza e principio di evoluzione: il padre e la madre

Mi sembra particolarmente rilevante l’intuizione di F. Perls quando pone a base di ogni bisogno due principi fondamentali: sopravvivere ed evolversi. La sua concezione è vicina a quella di un maestro di conoscenza, Gurdjieff, che proponeva un principio di conservazione, uno sociale e uno sessuale. Penso che il principio sessuale e quello sociale abbiano la stessa tensione verso l’evoluzione e che la spinta sociale contenga un bisogno di riconoscimento e di esserci che può essere considerato uno dei livelli sulla strada della realizzazione di Sé.

Ritengo che queste spinte fondamentali rispondano rispettivamente ad un principio di conservazione e ad un principio di espansione. ll primo tende alla protezione e alla sopravvivenza, l’altro alla realizzazione, all’evolversi in senso ampio ( Ferrara, 1991 ). Se sopravvivenza ed evoluzione sono i principi che guidano l`esistenza e lo sviluppo umano e fanno parte della natura più profonda dell’uomo, del suo nucleo primordiale, l`ambiente in cui vive, il mondo oggettuale, è il territorio specifico, contingente, nel quale l’uomo può sviluppare il proprio destino e la madre e il padre sono i contenitori che simbolicamente rappresentano l’una il principio di sopravvivenza, l’altro il principio di evoluzione. ll bambino ha bisogno di integrare entrambi i principi e quindi entrambi i modelli genitoriali. Alle carenze di ciascuno dei due modelli possono essere attribuite specifiche patologie.

Mi sembra che la psicologia in generale non abbia dato al padre lo stesso rilievo che ha attribuito alla madre nella crescita e nello sviluppo del bambino. Eppure nelle tradizioni spirituali la guida, il maestro, è soprattutto la figura maschile: il padre. Questo mi fa pensare che la psicologia si occupa più della conservazione che non dell’evoluzione e quindi più di preservare l’integrità del bambino che non di un progetto di crescita che proceda oltre una forma di salute mentale socialmente riconosciuta. ll bambino ha bisogno di integrare il padre, simbolo di affermazione e assertività, che gli insegni i valori e lo guidi verso la propria realizzazione. Diventa disperato quando gli manca il modello a cui ispirarsi. Si sente piccolo e impotente, precipita in un vuoto senza speranza. ll padre rappresenta la polarità della madre che invece offre il dolce rilassamento degli abbracci fusionali, che insegna lo stare, il lasciarsi perdere nella contemplazione. Analogamente precipita nel vuoto quando la fusione si interrompe. ll piccolo che si separa, sperimenta la perdita della sua stessa esistenza. Due tipi di vuoto, un vuoto psicotico e un vuoto narcisistico, uno relativo alla mancanza di struttura sulla quale stare e appigliarsi, l’altro, effetto di una spinta ad andare, senza il sostegno e le indicazioni adeguate per farlo. Penso che una terapia che abbia come progetto non solo la cura dei sintomi ma anche la realizzazione del Sé, debba confrontarsi con questo vuoto su due livelli: uno relativo ad una scissione e ad una carenza provenienti dalla relazione oggettuale ed un altro più profondo, esistenziale, espressione di una scissione primordiale. ll vuoto e la paura di non esistere è nella natura della condizione umana, al di là di una più o meno soddisfacente genitorizzazione.

 

Esistere con valore

Queste considerazioni producono delle conseguenze anche per una visione del narcisismo, tema al quale ho dedicato uno studio specifico (Ferrara, 1991). ln questa ottica il narcisismo può essere considerato aspetto caratterizzante della natura umana, che può diventare patologico con vari livelli di intensità o restare aspetto strutturante della personalità, una caratteristica della natura umana, effetto della spinta ad evolversi,  attraverso la quale l’uomo tende a dare un senso alla propria vita. Ciò che viene essenzialmente frustrato e che produce narcisismo patologico è la tensione del bambino a realizzarsi come essere perfetto a confronto con un mondo e con la propria stessa natura che gli mostrano continuamente quanto sia limitato. ll narcisismo, in quanto manifestazione del principio di evoluzione, è patologia riferibile a carenza del padre. Non basta I’invito a crescere, al rischio, ad esplorare, è necessario indicare come fare.  Alcune introiezioni gestaltiche hanno prodotto l`idea che gestalt fosse equivalente a correre un rischio: salta nel vuoto e troverai qualcosa. C’è un momento per saltare e non è lo stesso per tutti. Non si può saltare nel vuoto, con consapevolezza, senza adeguata protezione, interna o esterna. È necessario che al messaggio fai si accompagni l’indicazione sul come ƒare. Questo vale anche in terapia. Il bambino che si allontana per esplorare il mondo, vuole la certezza che tornando troverà qualcuno ad accoglierlo per trovare risposte alle sue paure e ai suoi dubbi. È la fase di riavvicinamento descritta dalla Malher (1978). Ritengo che in questi momenti sia fondamentale il ruolo del padre perché, armonizzandosi con quello della madre, insieme possano dare un permesso ad esistere, sì, ma con valore (Ferrara, 1991). Esistere non basta, il bambino vuole sentirsi importante e riconosciuto, questo rispecchiamento gli dà il senso che è bello crescere e lo invita a vivere con significato, riceve un profondo permesso ad evolversi. Ha bisogno di un’attitudine esplorativa che includa rischio e creatività, fuori dai limiti e dai confini dell’Io, ma anche di protezione e di indicazioni precise su come affrontare le sue paure. Quando il terapeuta tratta con il bambino che vive in ogni paziente, penso sia utile che si assuma un maggior carico di tipo genitoriale, alternando genitore affettivo e normativo, a secondo delle circostanze, soprattutto quando si confronta con patologie regressive.

 

Quale modello

Ma qual è il modello che a mio parere può maggiormente rispondere all’elaborazione terapeutica di questi principi, e in fin dei conti agli aspetti della terapia relativi al contenuto, ai quali i terapeuti della Gestalt da tempo fanno ampio riferimento, attingendo da vari approcci e per altri versi cercando soluzioni nella teoria del contatto di P. Goodman, che a mio parere non risponde in maniera soddisfacente, fermo restante il valore delle intuizioni sul Sé, inteso non come istanza fissa ma piuttosto come un essere, un essere al mondo. ll Sé, in quanto nucleo promotore dell’esperienza, attraverso lo scoprire e inventare produce l’adattamento creativo.

Quando invece ci addentriamo nel discorso relativo agli episodi di contatto, ritengo che i risvolti teorici siano più nebulosi e le risposte meno soddisfacenti. Il rischio maggiore mi sembra che provenga dalla possibilità di reificare una metafora e cioè che si possa considerare la metafora di un organismo vivente in un ambiente come equivalente alla realtà. Penso che la teoria del contatto di Goodman possa dare una buona immagine di insieme su come funziona l`uomo organismo, l`uomo biologico, ma resta comunque metafora di un individuo concepito energeticamente e quindi, tutto sommato, entro una visione di stampo freudiano filtrata da Reich. Una visione che non può soddisfare la concezione dell’ uomo psichico e non solo psichico, ma dotato di innumerevoli possibili stati di coscienza. La teoria organismica, se male intesa, porta ad una nuova, più sottile nevrosi: la caccia alla soddisfazione del bisogno, con il rischio di non poter mai vivere fino in fondo il post-contatto, perché nel post-contatto si sperimenta il non fare e quindi il rischio del vuoto. La soddisfazione compulsiva del bisogno diventa sostitutiva dell’intolleranza al vuoto. ln più, l’attenzione ai meccanismi d’interruzione è un aspetto saliente della terapia, ma non il principale. La stessa psicoanalisi e Kohut in prima linea, abbandonano una terapia pulsionale e basata sullo scioglimento delle difese, per considerare gli aspetti evolutivi e la globalità della persona, intesa come individuo che si attualizza. Ritengo più adeguata, quando ci occupiamo dei contenuti, una concezione di tipo evolutivo e attenta alle relazioni oggettuali. La ricchezza della Gestalt non è negli aspetti analitici della terapia e neanche nella diagnostica, non possiede una struttura teorica organizzata a questo scopo. Personalmente scelgo di riempire i vuoti con quanto già la Psicoanalisi offre e con quanto l`Analisi Transazionale propone come modello ricco e articolato nell’integrazione Gestalt-AT, basata sulla teoria del copione di E. Berne. Trovo più rispondente alla realtà del paziente e più gestaltico descrivere la sua condizione, il suo stato, in termini di esperienza, e quindi sotto forma di decisioni esistenziali nelle quali la tensione alla crescita e la difesa che la limita sono mescolate insieme, e il tratto che contraddistingue quello specifico adattamento, si forma come risultato complesso di diverse spinte alla sopravvivenza e all’evoluzione, così come di diverse interruzioni difensive.

È ben diverso usare una terminologia diagnostica e descrivere il paziente in termini di personalità introiettiva o proiettiva, e quindi definirlo attraverso la sua difesa principale, dal presentarlo in termini esperienziali: “(…) poiché gli altri mi fanno paura eviterò i contatti e vivrò isolato”. Oppure: “(…) per essere apprezzato sarò sempre disponibile, non dirò mai di no”. Questa modalità descrittiva presenta il paziente con tratti che lo contraddistinguono come persona diversa dalle altre, in tutte le sue manifestazioni e nei comportamenti ripetitivi che, implicitamente, suggeriscono la sua storia. Viene subito stabilito un ponte tra passato e futuro: oggi ripeto quello che sono stato ieri e anticipo quello che sarò domani.

 

Teoria del Copione integrata

Entrando più in dettaglio voglio descrivere alcuni punti centrali di una visione, da me parzialmente rielaborata, della teoria berniana del copione in relazione ad una visione gestaltica. ll bambino, venendo al mondo, è potenzialmente libero ma presto si rende conto a sue spese che non è vero. Dipende da altri più grandi e potenti di lui per la sua sopravvivenza. Come dicevo prima ha due bisogni fondamentali; sopravvivere ed evolversi, dai quali derivano tutti gli altri, quelli di ordine fisiologico legati al sopravvivere e quelli più strettamente psicologici legati allo sviluppo e alla crescita.

Tra questi ultimi va incluso come bisogno il superamento delle tappe evolutive. Diversi elementi parteciperanno a determinare il futuro di quel bambino: l`ambiente che emette messaggi, i suoi bisogni, la sua vulnerabilità, derivante dal fatto che non ha ancora una capacità di comprensione adeguata ai fenomeni che vive, né forza reattiva alle esperienze che gli vengono imposte. Riceve messaggi che sotto varia forma gli vengono inviati dai genitori e  quanti si prendono cura della sua crescita e della sua educazione. Se il messaggio permette la soddisfazione del bisogno e il superamento delle tappe evolutive, favorisce il contatto: è un permesso e come tende allo sviluppo psicofisico e pertanto può essere assimilato. Ogni volta che il bambino riceve un permesso, il ciclo del contatto può essere completato e la soddisfazione raggiunta. Quando invece il messaggio è limitante o, detto in altri termini, è un messaggio di copione, il bambino si ritira dall’oggetto del bisogno e ciò che sperimenta viene interrotto. Se l’esperienza limitante è altamente traumatica o ripetuta nel tempo, produce una mancanza, un buco nella personalità.

Questa gestalt aperta continuerà a reclamare attenzione finchè non sarà completata. Le prime e più gravi interruzioni riguardano la vita stessa del bambino e quindi il primo fondamentale permesso sarà quello di esistere e sopravvivere, strettamente connesso a quello di crescere ed evolversi. Di fronte agli stimoli ambientali il bambino non è passivo, opera delle scelte, senza dubbio condizionate dalla forza degli eventi esterni ma del tutto personali. In questo modo costruisce il suo unico e individuale adattamento all’esistenza. Ha una propria responsabilità, non è schiacciato da un destino ineluttabile, ma arbitro delle sue scelte.

Certo le capacità logiche sono limitate e possiede un pensiero di tipo magico, concreto, intuitivo. Ha un grande potenziale creativo e una fervida fantasia. C’è in lui un piccolo proƒessore, come lo chiama Berne, che si dà spiegazioni sulle esperienze che vive e le interpreta con un procedimento che solo empaticamente possiamo immaginare. Quando i messaggi provenienti dall`esterno sono in conflitto con i bisogni  del bambino, questi si trova in una impasse e dovrà prendere delle decisioni di sopravvivenza che tutelino contemporaneamente la sua spinta ad essere riconosciuto: “cosa farò per sopravvivere ed avere uno spazio in questo mondo?”. Opererà quindi delle scelte che determineranno le linee generali sulle quali baserà la propria esistenza, scelte che da un lato lo difendono e lo gratificano e dall`altro lo limitano. Queste decisioni saranno le gestalt fisse che caratterizzeranno la sua vita fino a che terapia o altro evento non provocheranno una ridecisione cognitiva, emotiva e somatica che permetterà il ristabilirsi di un sano flusso vitale verso una piena soddisfazione.

 

 Le impasses: un approfondimento clinico

ll lavoro di terapia sul contenuto, si svolge essenzialmente attraverso l’elaborazione del conflitto tra messaggi ambientali e bisogni, tra questi sono incluse le necessità evolutive del bambino, fino a ridecidere, come dicevo, sulle decisioni esistenziali limitanti, prese soprattutto nei primi anni di vita. ll lavoro sulle impasses può divenire più puntuale e focalizzarsi, con tecniche e modalità diverse di intervento, su tre grandi periodi evolutivi che contengono diverse fasi, alle quali possono corrispondere tre differenti aree patologiche. Sinteticamente do alcune indicazioni per inquadrare i concetti esposti. ln periodo precoce i messaggi ambientali producono impasse somatiche e danno luogo a possibili patologie di tipo psicotico. Negano il principio di sopravvivenza. Sono impasses legate soprattutto al rapporto con la madre.

Voglio precisare che il messaggio ambientale è filtrato dal bambino in base alle sue caratteristiche individuali e quindi a quanto vi è di connaturato in lui. Nella fase di esplorazione – riavvicinamento l’ impasse è maggiormente legata ai messaggi che vietano il crescere e l’evolversi e alle caratteristiche emotive della personalità. In questa fase possono insorgere patologie borderline e narcisistiche. È maggiormente presente, fino a diventare rilevante, la relazione con il padre. Nel terzo periodo l`impasse e più legata a divieti e insegnamenti di ordine sociale. Sono più sviluppate le capacità cognitive. ll compito evolutivo è quello di integrare  la coppia genitoriale e quindi il modello maschile e femminile con il minor conflitto possibile, affinché i genitori non continuino a litigare dentro di noi. Quest’ultima è l`area di intervento più familiare alla Gestalt classica.

 

L’idealizzazione negativa e positiva: I’adattamento complesso

Un aspetto particolare dell`impasse è l`incubo nei sogni o l`entità terrifica, mostruosa che perseguita nello stato di veglia. Paralizza e blocca, sembra non avere origini: viene vissuta come una presenza del tutto irrazionale contro la quale non si può far nulla. L`associazione di Gestalt e AT ci permette di affrontare questi blocchi complessi e di identificare i messaggi ambientali che, elaborati dal Piccolo Professore, sono stati trasformati in forma di idealizzazioni negative, così le definisco, che vengono messe a guardia di divieti molto profondi per i quali il bambino ha fantasticato gravi pericoli per la sua sopravvivenza. Elaborando analiticamente l’aspetto mostruoso è possibile risalire ai messaggi ambientali, far prendere consapevolezza della loro portata e ricondurli a una dimensione di realtà. Il messaggio di preoccupazione che proviene da una mamma apprensiva, anche se soffocante, è ben diverso dal mostro minaccioso che riempie i sogni notturni. D’altra parte l’idealizzazione positiva non è meno limitante. È compensatoria del vuoto, del senso di impotenza. L’aspetto creativo diventa ipertrofico, supera la tendenza naturale a soddisfare bisogni e necessità evolutive entro termini realistici. Va oltre il bisogno, che viene rappresentato come smisurato e quindi irraggiungibile. La modalità compensatoria e difensiva che cerca nel mito la soddisfazione, paradossalmente impedisce proprio la soddisfazione. La Gestalt continua a restare aperta sul versante somatico ed emotivo, mentre viene chiusa attraverso un distorto processo cognitivo che sembra portare a conclusioni del tipo: “se non si occupano di me, secondo i miei bisogni e necessità, vuol dire che non valgo abbastanza, è per questo che non sono amato. Allora diventerò speciale, farò parlare di me. Cercherò le cose straordinarie da poter ammirare ed inseguire”.

Questo processo, particolarmente sviluppato nel narcisismo, mi sembra comune ad ogni individuo, con diverse sfumature di intensità. L’elaborazione cognitiva e il rifugio nella fantasia grandiosa diminuisce l’angoscia della frustrazione. La vita acquista un senso, un senso falso e distorto ma è una direzione, qualcosa a cui appigliarsi quando l’alternativa è il vuoto. L’immagine di sé diventa una identità alla quale ci si lega indissolubilmente. Esistiamo in quanto esiste il nostro adattamento. Fuori di esso è il non essere. Più volte in terapia mi sono trovato dinanzi ad un assunto del genere che rispecchia il proprio tratto caratteriale dominante: “esisto in quanto soffro, se smetto di soffrire mi sento perdere, non so più chi sono”. Mi sembra che il paradosso gestaltico dell’accettazione vada inteso proprio nel senso di smettere di crearsi illusioni e fantasie e finalmente arrivare alla nostra natura, a quello che siamo. E non vuol dire che siamo solo limitati.

 

Il continuum di consapevolezza

Per concludere voglio dire qualcosa su quello che rilengo sia l’aspetto caratterizzante della Gestalt. La considero un insegnamento per un modo di essere. Il flusso di consapevolezza con tutte le sue svariate applicazioni che soprattutto Claudio Naranjo ci ha insegnato, pone la Gestalt molto vicina alle scuole di conoscenza, più vicina ad un insegnamento tradizionale che non ad un approccio clinico. La Gestalt possiede un’ incredibile virtù, tende al completamento  e pur integrando da più parti è un approccio pienamente autonomo, che si differenzia dalle altre scuole soprattutto per il tipo di uomo a cui vuole tendere. La ricerca di sé, della propria natura è oltre la mera e contingente ricerca di piacere e fuga dal dolore, in una condizione di superamento degli attaccamenti. Questi concetti sono impliciti nell’esperimento del continuo di consapevolezza che considero una tecnica e insieme una sintesi dell’essere gestaltico: attimo dopo attimo consapevole e presente nella propria esperienza. Allora non c`è più impasse, non c’è più nevrosi.

Perls intuì tutto questo? Laura forse cercò la struttura e Fritz l’evolversi? Veramente non so.

L’uno è padre, l`altra è madre e mi piace conciliare i genitori, le coppie, gli opposti, anche se la mia nevrosi mi porta ancora verso il padre.

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